Signorina Nennella, tutto attaccato.
- GieRRe
- 15 set 2016
- Tempo di lettura: 2 min
L’ho sognata stanotte, sempre uguale anche se da quando mi insegnò a scrivere sono passati quasi trent’anni.
Anche stanotte l’ho chiamata Signorina Nennella, non maestra, Nennella o Signorina, no no, tutto attaccato “Signorina Nennella”.
Nel sogno c’è tutto, anche un viso intagliato nel tempo, immobile, e la voce che mi ripeteva le parole con cui riempire i quaderni.
Dopo anni ho scoperto che “signorina” era riferito alla sua solitudine sentimentale. Il suo nome? Mai più sentito, unico. Non so se esiste. In un paesino lei esiste come soprannome, per familiarità o per passaparola, esiste come sinonimo di “scuola materna”.
Non l'ho mai vista con i capelli sciolti e li associo al bianco anche se probabilmente c’erano strisce di nero in testa. Aveva gli occhiali e non penso avesse più di una montatura. Aveva la voce acuta ed era diversa dalle altre maestre.
Noi non facevamo il riposino dopo pranzo.
Lei anche nei sogni mi porta per mano. Ricordo l’ape, era cucita sul mio grembiulino, attaccata sul porta sapone, sul banco e sulla sedia, sul bicchiere e sul posto dove attaccavo il giubbottino. Ricordo i miei piccoli compagni a mensa. Ricordo le finestre. Le minestre. Le bidelle. Le suore nella classe accanto. Ricordo che mia mamma ogni tanto la vedevo passare e ricordo che la salutavo. Ricordo i quaderni con tantissime pagine e la sensazione meravigliosa delle parole che li riempivano, ricordo quando tutti gli altri andavano via e io rimanevo per continuare a scrivere ancora un po’. Si inizia a scrivere copiando. Ricordo che non mi piaceva la pasta con i piselli. Ricordo quando raccolsi la neve a terra e aggiunsi il succo di mandarino. Ricordo che faceva schifo ma non lo dimenticherò. Ricordo quando feci male ad un bambino con la mia scarpetta e quando vidi un dente cadere per un filo, una porta chiusa e poi aperta. Ricordo la fragola simbolo di mio fratello e il grembiulino dell’altro con un piccolo tamburello.
Ho ritrovato un quaderno, in un pozzo di cartone pieno di quaderni nel garage.
Ricordo la A di Ape, la U di Uva, non ricordo altre lettere di… ricordo la mia scrittura tonda e incerta e piccola che poi si allargò nelle righe di prima per restringersi nelle righe della seconda. Ricordo che la mattina non volevo andare all’asilo e che la sera non volevo tornare a casa.
Cambiavo idea, ma questo non me lo ricordo.
Aspetta aspetta, la I era di Imbuto.
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