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Dalla calligrafia a via Torri

  • GieRRe
  • 28 nov 2016
  • Tempo di lettura: 1 min


Mi hanno dato un foglio quadrettato, inchiostro e pennino.

Poi un altro foglio con l’esempio stampato delle lettere dell’alfabeto. C’erano tutte. Ho montato la punta sul pennino e l’ho imbevuta nell’inchiostro, fino al buchino, come mi avevano detto.

La A l’ho imparata daccapo. L’ho imparata come quando alla scuola materna avevo comprato il primo quaderno per riempirlo di imbuti, api, tamburi. L’ho imparata con una posa impacciata, con il naso vicino al foglio, piegata su me stessa per stare vicina alle parole che scrivevo.

Sono arrivata alla Effe e mi sono ricordata, mentre pensavo che è difficile da scrivere, che in prima elementare avevo avuto lo stesso pensiero e quella lettera mi era sembrata difficile anche allora.

Mi sono detta, mentre facevo difficoltà a non fare macchie d’inchiostro sul foglio tutto già pasticciato “come è possibile, pensavo di saper scrivere”, tenevo il foglio stretto e ascoltavo lo scorrere della punta su un foglio che sembrava così ruvido. Ho capito cosa vuol dire “sentire il rumore della penna sul foglio”.

La mia mente mentre scrivevo era libera. Io ero ferma in quel momento, ero lì.

Forse i bambini sono felici perché quando si dedicano a qualcosa lo fanno completamente nello sforzo di imparare, fare esperienza.

Allora ho passeggiato verso casa mettendo un piede davanti all’altro come se stessi di nuovo imparando a camminare. Sentendo il rumore dei passi come il rumore dello scorrere del pennino sul foglio.

Ho approfittato e ho ripetuto l’alfabeto e visto che essere presenti è difficile ho immaginato di svoltare la curva di via Torri con la salita nel respiro.


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