Ritmo

Si era precipitata giù per tre rampe di scale, pedate pesanti. Alle spalle portone di casa aperto, luce accesa e finestra spalancata. Niente è importante.

Stessa strada, stesso traffico. Esattamente quello che voleva.

Rastrelliera vuota. Ora ricordava il palo. Era ancora appoggiata lì. La strappò via senza ricordare la catena. Ma la catena tenne. Il suo corpo si scosse, in avanti e poi dietro. Pari.

Il tempo per cercare le chiavi? Scosse la borsa per sentirne il tintinnio ma il rumore della pioggia aiutava a nasconderle. Trovò le chiavi e poi la chiave giusta. Cercò il lucchetto. C’era. lo trovò.

In bici.

Tutto intorno solo flash confusi. Fotografia di pioggia fitta. Fotografia della strada cucita a terra da gocce gelide e precise. Fotografia del sellino marrone, del telaio nero. Fotografia del cappotto bagnato, del cappello pesante d’acqua.

Ferita in tutti i sensi. Occhi attenti e sensi feriti da pioggia, luci, clacson, puzzo, asfalto lucido e liscio e rumore di ruote leggere. Dietro una scia sottile, ai lati il rumore di chi solca l’acqua.

Il cuore fermo, solido e impazzito. Solo quel momento e nient’altro. Solo quella scia come traccia. Trovò la strada. Ritmo dei pedali. Ritmo della pioggia. Ritmo dei pensieri. Salì.

La fatica faceva fatica a farsi strada.

Cuore in tumulto.

La salita stava finendo e lei non rallentava.

Frenò. Mise un punto. Finì la salita. Scivolò. Finì a terra. Fece l’ultimo pezzo, lungo quanto è lungo il palmo della mano, trascinandosi. Quella strada in salita senza uscita finiva così. Sul nulla. Anche questa volta era andata a fermarsi un secondo prima. Si aggrappò al ponte finito a metà, non poteva cadere, neanche dopo quella giornata. L'altra metà del ponte da costruire.